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2015: petizione diretta al ministro della Giustizia Andrea Orlando, al premier Paolo Gentiloni e a tutto il Parlamento
La prescrizione breve, introdotta nel 2005, ha contribuito a garantire impunità a colletti bianchi e corrotti. Le istituzioni internazionali (OCSE, Consiglio d’Europa, Commissione Europea, Corte di Giustizia della UE) hanno a più riprese chiesto all’Italia di modificare radicalmente la legge sulla prescrizione proprio per garantire un più efficace contrasto alla corruzione.
Per questo Riparte il futuro ha condotto una campagna indirizzata al ministro della Giustizia Andrea Orlando, ai premier Matteo Renzi e Paolo Gentiloni e a tutto il Parlamento. Cambiare la prescrizione rappresentava un passo fondamentale nella lotta al malaffare.
Il 10% dei processi di corruzione italiani viene bloccato dalla prescrizione contro la media degli altri stati europei che oscilla tra lo 0,1% e il 2%. Nel caso della corruzione internazionale il dato relativo alle indagini prescritte sale al 62%.
In questo scenario un termine assoluto di prescrizione troppo breve diventa in maniera evidente un ostacolo alla lotta contro la corruzione consentendo all’imputato di puntare a far prescrivere il suo processo piuttosto che arrivare all’accertamento della verità con una sentenza di condanna o un’assoluzione. Non si può ignorare, in aggiunta, che si stima manchino oltre 9.000 dipendenti alla macchina della giustizia italiana, un quarto della forza lavoro che servirebbe per farla funzionare in modo congruo, da ciò ne consegue l’esasperante lentezza dei processi penali.
Processi lenti e prescrizione breve sono la combinazione perfetta per garantire impunità a chi corrompe. Schivare le sentenze avvalendosi di strategie dilatorie per arrivare a prescrizione diventa un’ottima scappatoia. Una gara tra astuzia e giustizia.
La legge sulla prescrizione breve aveva una enorme criticità, come abbiamo cercato di dimostrare nel nostro report: il meccanismo dell’interruzione disciplinato dall’articolo 161 del codice penale, reso inutile dalla riforma Cirielli del 2005. L’interruzione azzera il cronometro della prescrizione e prolunga il tempo a disposizione per celebrare un processo. Questo si verifica quando la Giustizia compie atti che inequivocabilmente dimostrano l’interesse dello Stato ad accertare la verità in giudizio (ad esempio con un arresto, un interrogatorio o una condanna). La legge Ex Cirielli del 2005 ha cambiato questo meccanismo, impedendo che due atti interruttivi potessero prolungare il processo oltre il termine di prescrizione base + 1/4.
La nostra campagna è nata per modificare quella legge e chiedere due cose:
1) Interruzione della prescrizione dopo la condanna di primo grado.
Crediamo fondamentale che la prescrizione interrompa il suo corso e ricominci a decorrere da zero dopo una condanna di primo grado. Il meccanismo dell’interruzione era già formalmente presente in Italia, come in larga parte dei Paesi europei: ad oggi infatti ogni volta che la giustizia compie atti per contrastare un reato (interrogatori, arresti, condanne etc) il cronometro della prescrizione si azzera. Però “fatta la legge trovato l’inganno”: di fatto questo sistema è stato reso inefficace da un termine assoluto troppo breve (art. 161 cp) che vanificava la regola dell’interruzione. L’interruzione è una caratteristica del nostro ordinamento irrinunciabile che non poteva essere cancellata da una futura riforma, anzi andava potenziata. Solo aumentando questo termine finale l’interruzione poteva a nostro avviso tornare ad essere efficace.
2) Estensione del termine assoluto della prescrizione dopo diverse interruzioni.
Nel procedimento penale italiano, la durata massima di un processo non può superare di un quarto il termine di prescrizione di quel reato. Questo limite ultimo è definito termine assoluto. In altre parole se il reato per cui si procede (es. la corruzione per l’esercizio delle funzioni) si prescrive in 6 anni, il processo per quel reato non potrà durare più di 6 anni + un quarto, cioè 7 anni e mezzo. Ma la storia ci insegna che nel nostro Paese talvolta in 10 anni non si è arrivati a sentenza definitiva. E anche quando un processo di primo grado si riesce a celebrare, e quindi si può ottenere una prima condanna, il condannato potrebbe semplicemente fare appello e aspettare che i tempi biblici della giustizia italiana lo salvino: il processo è prescritto in 7 anni e mezzo dalla data di commissione del reato, e il corrotto rimane impunito.
La nostra soluzione proponeva di raddoppiare questo termine massimo, anziché limitarlo a un quarto, adeguandolo al modello tedesco. Infatti in Germania, il termine assoluto è posto al doppio della prescrizione base. Poniamo che il termine assoluto di prescrizione, quando intervengano diverse ipotesi d’interruzione (come per esempio la condanna di primo grado), sia il doppio dei termini di prescrizione base: in questo modo, per un reato con pena massima di 6 anni vi sarebbero 12 anni per concludere tutto il procedimento fino al terzo grado di giudizio. Così si impedirebbe l’uso dell’appello in modo strumentale: le condanne di primo grado verrebbero prese più seriamente. Il condannato ci penserebbe due volte ad appellare a fini dilatori, consapevole di non poter far prescrivere il processo in tempi brevi.
Sono state raccolte 110.000 firme a sostegno delle nostre proposte ed è stato prodotto un video divulgativo che ha raggiunto oltre 650 mila visualizzazioni per consentire a tutti di comprendere un tema così complesso. Infine è stato prodotto un dossier informativo su “prescrizione penale e corruzione” che è stato a più riprese inviato via mail a Senatori e Deputati impegnati sui temi della giustizia per sensibilizzarli.
Nel corso del 2015 e del 2016 abbiamo seguito con costanza il dibattito parlamentare. La riforma del codice penale, che portava con sé alcune migliorie in materia di prescrizione breve, è stata infine approvata definitivamente il 14 giugno del 2017, dopo ben tre letture da parte di Camera e Senato.
Sia al Senato che alla Camera è stata posta la fiducia da parte del governo, impedendo ogni possibilità di emendare il disegno di legge, che è poi stato approvato senza alcuna modifica. Insomma, si è trattato di una vittoria di Pirro per noi. La riforma è il frutto di un compromesso tra forze politiche con approcci opposti in tema di giustizia, ma che facevano parte della stessa maggioranza di governo.
Tutto questo ha avuto delle conseguenze: un livello di conflitto politico elevatissimo, la società civile è stata esclusa dal dibattito e le nostre proposte sono rimaste inascoltate.
Il 416 ter, il voto di scambio politico-mafioso, è passato da una pena di 4/10 anni, a una più severa, da 6 a 12 anni di carcere. Grazie a questo aumento di pena il patteggiamento (e lo sconto di pena conseguente) per l’imputato è diventato quasi impossibile.