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11 luglio 2018

Katharine Gun, la whistleblower che provò a impedire la guerra in Iraq

Per non dimenticare la storia della donna che denunciò le pressioni illecite di UK e USA per autorizzare la guerra in lraq

Foto dell’autore Andrea Spinelli Barrile

Lettura 11 min • Inizia la discussione
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Che il governo americano avesse prodotto prove fasulle per convincere il Consiglio di Sicurezza ONU ad autorizzare l'intervento militare in Iraq nel 2003 è oramai una notizia nota. Come nota è la connivenza attiva dell'allora governo britannico di Tony Blair, che nulla fece e anzi incoraggiò e aiutò gli americani a creare dossier falsi per giustificare quella guerra, dalla quale ancora oggi sembra non esserci via d'uscita. Tutto questo è emerso, chiaramente e in maniera incontrovertibile, grazie al lavoro pubblicato il 6 luglio 2016 da una commissione parlamentare britannica presieduta da Sir John Chilcot, che riscrisse un'intera pagina di storia recente.

Una guerra a tutti i costi 

Ma il rapporto a posteriori della commissione inglese, come anche ai tempi l’appello di Marco Pannella due mesi prima che George W. Bush bombardasse Baghdad, non sono state le uniche denunce sulle attività illegali degli americani per invadere l'Iraq: Katharine Teresa Gun, nata a Taiwan nel 1974, divenne molto famosa proprio nel tardo 2003, quando fu accusata - e per questo pagò un caro prezzo - di avere divulgato informazioni di intelligence top-secret alla stampa riguardanti le attività di pressione e falsificazione americana alle Nazioni Unite.

Il caso di Katharine Gun è uno dei più delicati nella storia del whistleblowing: grazie alle sue denunce infatti si sarebbe potuta bloccare la guerra in Iraq, dichiarata illegittima solo a distanza di 13 anni, che ha causato decine di migliaia di morti, il crollo di una nazione, un lavoro enorme da parte delle autorità inglesi per cercare di ristabilire la verità.
L'approvazione della direttiva comunitaria proposta di recente dalla Commissione europea per proteggere i whistleblower, chi ha il coraggio di segnalare illeciti, corruzione e malaffare sul posto di lavoro sarebbe un passo importante anche per riconoscere a Gun l'importanza della sua battaglia. 

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I segreti dell’Intelligence

Gun lavorava nel 2003 come traduttrice di cinese e giapponese presso il Government Communications Headquarters (GCHQ), un'agenzia di intelligence britannica che l'aveva assunta in risposta a un annuncio su un giornale. Se è vero che - come dichiarò Gun in seguito - lei stessa non aveva idea di ciò che facevano all’interno dell’agenzia, “la maggior parte delle persone non ce l'ha”, è anche vero che un'agenzia di intelligence si suppone assuma personale seguendo procedure di reclutamento molto stringenti. Ma forse non è stato questo il caso: nella sede dell'agenzia di Cheltenham, Gun si occupava di tradurre i documenti dal cinese mandarino all'inglese fino a quando, il 31 gennaio 2003, le capitò sotto gli occhi una email di Frank Koza, allora capo dello staff della divisione Obiettivi Regionali della National Intelligence Agency, la NSA americana. In quella mail Koza chiedeva sostegno e aiuto nell'ambito di un'operazione segreta di pressione sui rappresentanti alle Nazioni Unite di sei diversi paesi e sui loro staff: Angola, Bulgaria, Camerun, Cile, Guinea e Pakistan, le sei “nazioni altalena” il cui voto in Consiglio di Sicurezza sarebbe stato determinante per autorizzare, o negare, l'azione militare americana in Iraq. "L'obiettivo era corromperli, intimidirli, metterli in imbarazzo, usare insomma qualunque modo possibile per farli votare a favore", ha ribadito Gun in una recente videointervista. 

Secondo quanto raccontato dalla stessa in un articolo sul Guardian, Koza scriveva che la NSA stava “montando un'ondata rivolta in particolare ai membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU” e che voleva tutte le informazioni che potessero dare sostegno ai politici e i delegati americani per ottenere i loro scopi. Si pianificava anche di utilizzare informazioni ottenute tramite intercettazioni illegali delle comunicazioni dei delegati. 

Una storia da prima pagina

Gun ha dichiarato che non pensava di sollevare un caso del genere ma che il suo intento era reagire e magari ritardare o impedire la marcia verso la guerra
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Un piano che a Gun apparve subito “indecente” anche se non conosceva esattamente le ragioni che lo muovevano: le ingerenze di Koza infatti rappresentavano una chiara violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, un documento multilaterale del 1961 che raggruppa tutte le convenzioni e le norme che regolano i rapporti tra Stati. La traduttrice stampò la email e se la portò a casa e dopo averci pensato un po' su decise di farla avere a dei giornalisti, tramite un suo amico. Dopo circa un mese, il 2 marzo 2003, Gun scoprì che la sua soffiata era diventata la storia di copertina del più antico periodico britannico, The Observer, edito dal Guardian, che titolava “I trucchi sporchi degli Stati Uniti per ottenere il sì alla guerra in Iraq”. Cinque giorni dopo, in preda ai sensi di colpa, Gun bussò all'ufficio del suo responsabile per raccontare tutto e ne uscì in manette. Dopo una notte in guardiola si ritrovò licenziata e con una denuncia tra capo e collo, per avere violato l'Official Secrets Act e aver divulgato informazioni riservate. Intervistata dalla BBC, Gun ha dichiarato che non pensava di sollevare un caso del genere ma che il suo intento era reagire e magari “ritardare o impedire la marcia verso la guerra”.

Una guerra inevitabile

Il 20 marzo 2003 George W. Bush e Tony Blair diedero il via ai bombardamenti su Baghdad, il 9 aprile gli americani entrarono nella capitale irachena e abbatterono la monumentale statua di Saddam Hussein, il 10 cadeva Kirkuk e il 15 Tikrit, paese natale degli Hussein. L’1 maggio il Presidente Bush atterrava sulla portaerei Abraham Lincoln facendosi fotografare di fronte allo striscione “missione compiuta”. Il 2 maggio erano già 30.000 le bombe piovute sull'Iraq.

Gli sviluppi giudiziari

Il 13 novembre dello stesso anno, Katharine Gun fu ufficialmente accusata dal Crown Prosecution Service di rivelazione di informazioni riservate. Grazie a quell'intervista sulla BBC il suo volto era già noto: il suo caso giudiziario era diventato una ragione di attivismo per molti che, con petizioni online e iniziative nelle piazze inglesi, chiedevano all'accusa di abbandonare il caso. Anche personalità come il reverendo Jesse Jackson, l'attore e regista Sean Penn e il funzionario americano che fece esplodere lo scandalo Pentagon Papers, Daniel Ellsberg, avevano espresso solidarietà verso di lei. Quell'anno le fu riconosciuto il Sam Adam Award (nel 2010 toccò a Julian Assange, nel 2013 a Edward Snowden, nel 2014 a Chelsea Manning per citare i più noti) ma lo stress e le pressioni giudiziarie aumentarono con l'aumentare del clamore attorno a lei.

Un processo misterioso

La strategia di Gun e dei suoi avvocati era di dichiararsi “colpevole” della divulgazione dei documenti ma “non colpevole” nella sostanza perché la sua azione illecita era stata condotta per impedire una perdita di vite umane. Il 25 febbraio 2004, data della prima udienza, il caso fu abbandonato perché l'accusa decise di non presentare prove. Nessuno ha mai chiarito il perché.

Quello che è certo è che il giorno prima dell'udienza i legali di Gun avevano chiesto al governo inglese di Tony Blair tutta la documentazione necessaria a provare la legittimità di quell'intervento armato in Iraq: la difesa era intenzionata a sostenere che il tentativo di Gun di fermare un atto illegale (la guerra in Iraq) potesse giustificare la violazione commessa. I giornali inglesi specularono molto su questo pur senza fornire grandi prove giornalistiche: sostenevano infatti che il pubblico ministero si fosse piegato alle pressioni politiche per abbandonare il caso così che tutta la documentazione restasse segreta. Il clamore mediatico indusse il governo a dichiarare che la decisione di non procedere con il processo era stata presa precedentemente.

Il senno di poi

Con il senno del poi sono buoni tutti a tirare le proprie considerazioni ma quello che è contenuto nel famoso rapporto Chilcot è la pietra tombale sulla genesi di quella guerra, completamente illegittima e basata su informazioni false, se non persino appositamente costruite. Una pietra tombale per l'operato di Bush e Blair ma anche per il giornalismo, che non ha insistito abbastanza nel suo ruolo di cane da guardia a indagare a fondo raccogliendo gli appelli della società civile, di whistleblower come Katharine Gun o di politici come Marco Pannella.

Dimenticata

Per non dimenticare, la storia di Katharine Gun diventerà presto un film, Official Secrets, e il ruolo da protagonista sarà di Keira Knightley (nella foto sopra, via | The Guardian by Michael Buckner/Deadline/REX/Shutterstock): le riprese sono iniziate a marzo 2018 e termineranno alla fine dell'anno.  “La sua vicenda - commenta il regista Gavin Hood - parla di tanti diversi tipi di lealtà: lealtà verso la tua coscienza personale, la tua famiglia e le relazioni, il tuo paese, che non equivale necessariamente al tuo governo, e all'umanità in generale. È una storia che chiede: è possibile rispondere a questi sentimenti di lealtà allo stesso tempo? E cosa succede quando devi fare una scelta?”

Nel frattempo Katharine Gun non lavora più come traduttrice: ogni tanto compare un suo pezzo tra le colonne del Guardian ma sembra quasi condannata a parlare sempre e solo della sua esperienza.

 

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