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7 luglio 2014

L'Eni indagata per corruzione internazionale: ombre sul più grosso giacimento offshore della Nigeria

Foto dell’autore Daniele Caporale

Lettura 4 min • Inizia la discussione
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ENI: FITCH TAGLIA RATING PER LIBIA; SCARONI, RISULTATI AL TOP“Corruzione internazionale”. È l’accusa mossa nei confronti dell’Eni dalla Procura di Milano, che sta indagando sull’acquisizione di un giacimento petrolifero al largo della Nigeria da parte della compagnia. In particolare, i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria del capoluogo lombardo si sono impossessati di una lunga serie di documenti relativi all’accordo che l’Eni ha stipulato nell’aprile del 2011 con il governo nigeriano e alle trattative intavolate tra il 2009 e il 2010 con la società Malabu. Tra gli indagati l’ex amministartore di Eni Paolo Scaroni e Gianluca Di Nardo, imprenditore legato da un lato al referente nigeriano, Ebeka Obi, e dall’altro al faccendiere Luigi Bisignani.

L’indagine è nata per alcune intercettazioni acquisite dall’indagine del 2010 sulla P4 dai pm milanesi Henry John Woodcock e Francesco Curcio. In queste conversazioni Bisignani (che alla fine patteggiò una pena di 19 mesi per associazione a delinquere e rivelazione di segreto) parlava con Scaroni e Claudio De Scalzi a proposito dell’OPL 245, uno dei giacimenti offshore più grossi della Nigeria, su cui l’Eni aveva messo gli occhi.

Il caso è intricato e vede coinvolti a vario titolo alcuni personaggi di spicco tra cui Dan Etete e il generale Abacha, rispettivamente ex ministro dell’energia nel Governo nigeriano e ex Capo dello Stato morto nel ‘98, che pare avessero fatto in modo che la concessione OPL 245 fosse assegnata a una società, la Malabu, riferibile tramite prestanomi a loro stessi.

Nel novembre 2010 Scaroni avrebbe dichiarato a Woodcock che l’affare con Malabu non andò in porto, ma i fatti dicono altro. Eni concluse la trattativa con il governo nigeriano che incassò 1,3 miliardi di dollari, ma a beneficio di Malabu, che incassò gli 1,92 milioni di dollari pagati dal colosso italiano, lasciando i circa 200 milioni di dollari di bonus pagati dall’olandese Shell (altra società interessata all’affare) al governo dello stato africano. Ecco come andarono le cose secondo la ricostruzione dell’inchiesta de Il Fatto Qutidiano: “La concessione è stata per anni contesa e quando Etete nel 2009 ha deciso di venderla è entrato in campo il mediatore Obi e il suo referente italiano, Gianluca Di Nardo. Questi ha messo in pista Luigi Bisignani che ha contattato Paolo Scaroni. Per un lungo periodo fino al novembre del 2010 le trattative sono andate avanti tra Etete e l’Eni atraverso i due mediatori: il russo Ednan Agaev e il nigeriano Obi. L’affare alla fine però si è concluso con un altro schema. La concessione è stata ceduta a Eni non da Etete, che era accusato di averla ‘rubata’ al suo Governo, ma dal Governo Nigeriano stesso. Prima la Nigeria ha firmato una transazione con Etete per riprendersi la concessione e contestualmente l’ha girata all’ENI. La società italiana ha pagato esattamente la stessa cifra pattuita con la Malabu di Etete, a seguito delle trattative con la cordata Obi-Di Nardo-Bisignani: un miliardo e 92 milioni di dollari”.
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