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7 marzo 2017

Il lato psicologico della corruzione

“La corruzione non si può eliminare, ma la si può rendere sufficientemente piccola”: intervista all'esperto Nils Koebis

Foto dell’autore Edoardo Garibaldi

Lettura 6 min • 4 risposte
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Viviamo in un Paese molto corrotto e sappiamo, o pretendiamo di sapere, cosa sia la corruzione. Sicuramente la nostra autorità giudiziaria e le nostre forze di polizia hanno una expertise riconosciuta nell’individuare questo fenomeno, ma noi cittadini siamo davvero così consapevoli? Molto probabilmente no e, soprattutto, non è detto che le nostre convinzioni siano verbo scolpito su tavole di pietra.

Quali sono i ragionamenti, e quali le emozioni che portano un individuo ad agire per perseguire il proprio interesse e contravvenire alle leggi scritte e non scritte? Siamo tutti uomini e donne che, malgrado aver corrotto o essere stati corrotti, riescono a “guardarsi allo specchio” ogni mattina? Cosa influisce sulla propensione ad avere comportamenti corruttivi? E ancora: se è vero che è l’occasione a fare il corruttore, e molto spesso sono le leggi a lasciare spazio alle furbizie umane, cosa può portarci a resistere alla tentazione?

Il mondo scientifico sta cominciando ad interrogarsi su questi temi e in Olanda le università stanno finanziando dottorati che esplorino il lato psicologico della corruzione. “Fino a oggi - racconta a Riparte il Futuro Nils Koebis, ricercatore dell’università di Amsterdam e dottore di ricerca con una tesi in Psicologia della corruzione - l’approccio prevalente per indagare il comportamento razionale del potenziale corruttore era quello economico. Secondo lo schema di analisi egli pondera se la possibilità di essere scoperto e la severità della sanzione siano dei deterrenti sufficienti a non corrompere per avere vantaggi economici nel breve tempo. La teoria economica può dare una spiegazione alla corruzione, ma ignora gli effetti negativi di lungo termine, ormai ben conosciuti, che invalidano questo approccio nello studio della corruzione con una prospettiva di lungo termine”.

L’idea di studiare la corruzione da una prospettiva psicologica è nato davanti a una tazza di caffè, per caso: Nils Koebis e un suo amico stavano progettando un gioco per scrivere la tesi di master in Psicologia quando si resero conto di aver riprodotto uno schema corruttivo. “È stato allora che mi sono accorto di essere davvero interessato al fenomeno - spiega Koebis - In primo luogo perché ha una grande valenza sociale: la corruzione ha effetti negativi sulla società. Da una prospettiva puramente psicologica, invece, è molto intrigante capire il motivo per il quale due individui decidono di collaborare infrangendo la legge o le regole di moralità”.

“Recenti ricerche ci dicono che il vantaggio economico non sia l’unico driver della corruzione - spiega Koebis. - Si dice, ad esempio, che anche il potere corrompa e vari studi dimostrano che c’è chi decide di agire in maniera corrotta solo per mantenere posizioni di potere: la paura di perderlo può rappresentare un grande incentivo”.  Per quanto riguarda inoltre le 'cattive compagnie', Koebis conferma che secondo le sue ricerche “entrare in rapporto con una persona che si aspetta che tu possa essere corrotto rappresenta un incentivo. Ad esempio, una persona che ci ha fatto un grande favore ti può chiedere di essere contraccambiata. Il nostro lavoro è cercare di capire quali dei due fattori fra quello economico e quello relazionale svolga il ruolo maggiore nel portare un individuo a corrompere e a essere corrotto. Così abbiamo rilevato anche l’importanza della narrazione del fenomeno. Se i media daranno molta attenzione alla corruzione e la racconteranno dalla prospettiva di chi ha commesso il reato, l’ambiente verrà percepito come più corrotto e questo influenzerà i comportamenti degli individui negativamente”.

Più probabilità si hanno di interagire con qualcuno che si aspetta di essere corrotto o di corrompere, più saremo inclini alla corruzione.

Ed è immediato domandarsi se dunque la cultura dominante in un paese possa influire sulla corruzione. “Dobbiamo capire cosa intendiamo per cultura - spiega Koebis. - Persone che si trovano ad agire in un paese con poca corruzione, provenendo da un paese in cui la corruzione è diffusa, aggiustano i loro comportamenti in maniera relativamente veloce. Sicuramente i fattori culturali influiscono, ma non si può per questo assumere un approccio deterministico”.

Cosa conta dunque? “Contano diversi fattori - conclude Koebis - Per esempio il tempo: se ci viene chiesto di ripetere a breve distanza di tempo un atto corruttivo, siamo più refrattari a compierlo. Se invece si è portati a contravvenire alle norme a distanza di tempo, l’individuo ha più probabilità di incamerare questo comportamento e considerarlo sostenibile. Credo anche che le aspettative razionali siano determinanti. Se si crede che gli altri non rispetteranno le regole mettendoci così fuori dai giochi, saremo più propensi a infrangerle anche noi per raggiungere il nostro obiettivo. Non credo però che esistano paesi corrotti tout court. Come credo che la corruzione non si possa eliminare definitivamente. Possiamo solo cercare di renderla sufficientemente piccola”.

Tag
  • Intervista
  • Psicologia della corruzione
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