

Ornella Piredda, la donna di cui il potere ha paura
È stata la prima whistleblower a denunciare le spese pazze in regione Sardegna. Mobbizzata, ora parla a Riparte il Futuro a ridosso della sentenza che ha portato alla condanna di 13 consiglieri
Ornella Piredda ha una voce calma, decisa. È un fiume in piena a ridosso della sentenza che ha condannato per peculato i suoi principali avversari, l’ex capogruppo del gruppo Misto in regione Sardegna Giuseppe Atzeri e altri 12 consiglieri regionali. Una specie di vittoria, specie perché Ornella non ha visto riconosciuti i reati confluiti nel mobbing che ha subito e per di più ha dovuto aspettare dieci anni dalla sua prima denuncia delle spese pazze dei consiglieri della Regione Sardegna. Anni in cui la sua vita è cambiata completamente. Da affermata funzionaria regionale, a folle accusatrice, lasciata sola da tutti i colleghi e dai consiglieri che ha cercato di proteggere. Anche se poi, così folle non era. C'è stata infatti una prima condanna, mentre altri due filoni di inchiesta continuano, con arresti e rinvii a giudizio, per un totale di circa 120 consiglieri regionali e funzionari sardi coinvolti. Ma la storia di Ornella Piredda è anche un caso esemplare di come ci sia bisogno di una legge a tutela dei whistleblowers italiani che oggi non hanno alcun sostegno da parte dello Stato, anche quando le loro denunce si rivelano fondate e fanno risparmiare soldi alle casse degli enti pubblici. A pochi giorni dalla sentenza, abbiamo parlato con Ornella, per farci raccontare che cosa vuol dire decidere di denunciare illegalità e reati nella Pubblica amministrazione italiana.
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La sua storia è stata la prima a scoperchiare lo scandalo dei rimborsi in regione Sardegna, uno scandalo che poi si è allargato ed è emerso anche in altre regioni italiane. Com’è iniziato tutto?
Ho lavorato in Consiglio per 15 anni ed ero dipendente dei gruppi consiliari. In Sardegna era stata fatta una legge che assicurava la continuità: ad ogni nuova legislatura c’era una chiamata da parte dei capigruppo e, d’accordo con i dipendenti, si sceglieva in quale gruppo politico andare. Dal '94-'95 ho cominciato a lavorare con Forza Italia e in seguito ho lavorato più o meno per tutti, fino ad arrivare nella legislatura 2004-2009 al gruppo “Insieme per la Sardegna”. Era composto da forze politiche diversificate, dall’UDEUR ai Comunisti Italiani, che si erano unite per raggiungere il numero minimo per la formazione del gruppo e l’accesso ai finanziamenti aggiuntivi. Ho lavorato per un anno per loro finché, a causa di divergenze di opinioni e obiettivi, il gruppo si è sciolto e sono confluiti tutti nel Misto, consiglieri e dipendenti. Ai tempi ero l’unica dipendente del gruppo che aveva la qualifica di funzionario e sono passata anche io al Misto, dove c’erano altri due funzionari, tra cui uno in particolare con un’anzianità di servizio maggiore della mia. Nel passaggio, ho fatto le consegne a questi funzionari, informandoli su tutto quello che avevo seguito fino al giorno prima e consegnando anche le ricevute di spesa che avevo acquisito per compilare il bilancio del gruppo. Ma nel momento in cui ho consegnato tutte le ricevute di spesa, il funzionario le ha rifiutate e, di fronte al mio stupore, mi ha spiegato che le ricevute non venivano accettate perché il Consiglio regionale non le chiedeva.
Ma questa era un procedura anomala?
Guardi, non avevo mai visto una cosa del genere. Avevo visto delle cose che dal punto di vista etico potevano essere censurabili, ma non dal punto di vista legale: erano quasi dei peccati veniali rispetto a quello che ho visto dopo. La vicenda mi aveva colpito molto, perché era sfacciata. Non è difficile presentare delle ricevute di spesa, basta uno scontrino, ma loro non si ponevano nemmeno il problema. Ogni anno il bilancio dei gruppi va a confluire in una voce del bilancio del Consiglio regionale, ma come si fa a compilare un bilancio così? Devi avere delle pezze giustificative perché se non le hai come fai a giustificare le spese? Loro si ritenevano esonerati dal produrle, come mi ha spiegato il funzionario Angelo Sanna - che è passato da testimone a imputato (finirà a processo in un secondo troncone dell’inchiesta, ndr). Sanna, tra l’altro, non era un funzionario qualunque, ma era legato politicamente al Partito Sardo d’Azione, il partito del capogruppo Giuseppe Atzeri - condannato in primo grado per peculato - e quindi contava molto di più di tutti gli altri funzionari e impiegati. Io però mi sono preoccupata per i miei consiglieri, che avrebbero potuto passare dei guai, e per questo ho insistito molto, dando fastidio. E da lì è partito tutto.
Come hanno reagito quando ha iniziato a fare domande, a protestare?
Questo funzionario molto male. Io ho detto subito ai miei consiglieri di conservare le ricevute e gli scontrini perché quello che stava accadendo non era normale. Ma la situazione era diventata così surreale che anche i miei consiglieri a un certo punto hanno pensato che fossi io quella esagerata perché tutti nel gruppo Misto facevano così. C’è stata una escalation e con questo funzionario abbiamo avuto anche delle discussioni molto brutte, scontrandoci su tutto. Siamo arrivati ai ferri corti. Nel passaggio dal gruppo “Insieme per la Sardegna” al gruppo Misto, sono rimasta due mesi senza stipendio, e alla prima busta paga mi sono resa conto che ero stata demansionata, con una decurtazione notevole del mio compenso. Tra l’altro, nel passaggio avevo anche accumulato delle ferie che non mi erano state pagate e che non risultavano più da nessuna parte, quindi chiaramente qualcuno se le era intascate. Lui e il capogruppo Atzeri me ne hanno fatte passare di tutti i colori.
Che cosa le è successo in quel periodo? Mentre lei faceva domande scomode, loro che cosa le hanno fatto?
Per prima cosa, a causa del demansionamento, ho dovuto vendere casa perché non potevo più permettermi il mutuo. Per questo fatto ho portato avanti una causa civile che nel 2009 mi ha dato ragione e hanno dovuto versarmi le differenze retributive per 16,000€, ma ormai la casa era persa. All’inizio non capivo, non avevo idea di cosa ci fosse dietro, ero stupita e amareggiata. Mi sembrava di fare il mio dovere, invece subivo di tutto. Per esempio, mi venivano segnate ferie in più che non avevo goduto, oppure se decidevano di tinteggiare le pareti dell’ufficio dipingevano tutte le stanze tranne la mia. Mi hanno anche spostata in una stanza che era una specie di sgabuzzino, togliendomi tutto il materiale necessario per lavorare, dai timbri alla carta intestata, in modo che i miei consiglieri si rivolgessero agli altri funzionari e non a me. In questo periodo però ho scoperto, tramite il mio avvocato, che davo così fastidio per una ragione ancora più grave. Nel gruppo Misto i rimborsi non solo venivano dati senza rendicontare e quindi senza giustificativi, ma il rimborso consisteva in un fisso mensile di 2700€ per tutti, ogni mese, a prescindere dalle spese, come fosse un piccolo stipendio aggiuntivo. A questo punto ho deciso di presentare denuncia in procura.
Come è stata accolta la sua denuncia?
Quando il PM ha sentito le mie dichiarazioni non poteva crederci. Hanno iniziato con gli interrogatori e sono partite le indagini. Io ho fornito molta documentazione, ma sono venuti anche in Consiglio a prendere altri documenti, in un clima ostile, con il presidente del Consiglio Giacomo Spissu che non faceva entrare la Finanza invocando una presunta immunità, tant’è che ho dovuto portare i faldoni della documentazione all’ingresso…e io in tutto questo continuavo a stare lì.
E i suoi colleghi, i consiglieri che seguiva, come hanno reagito?
Nessuno dei miei colleghi mi ha dato supporto, sono spariti tutti, anzi, mi hanno trattata male perché - ai loro occhi - stavo rompendo le scatole, perché alla fine tutti avevano da guadagnarci da quella situazione dei rimborsi anomali. Tutti. Nel 2009, hanno fatto una modifica per spostare tutti i funzionari in Regione, nel reparto amministrativo, ma sono stata spostata solo io. Per fortuna, mi hanno mandata in un settore che mi era molto caro, quello delle Politiche Sociali, dove piano piano mi sono conquistata la fiducia del direttore generale, che mi ha nominata responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, un lavoro che mi piaceva molto. Fino a quando, nel 2013, i problemi di salute sono diventati così pesanti che ho dovuto rimanere un anno in malattia e poi sono andata in prepensionamento con una invalidità del 100%.
Ha avuto dei problemi di salute legati a tutta questa vicenda?
Io ho sempre avuto una forma di maculopatia agli occhi, ma questa malattia viene alimentata dalla depressione. Nel periodo delle denunce ho subito uno stress incredibile, con una depressione molto forte e un’ansia pazzesca. Tutto questo ha peggiorato molto la mia situazione e sono diventata ipovedente grave. Nel 2013 il mio corpo si è improvvisamente fermato: tutte le funzioni vitali si sono interrotte, non riuscivo a mangiare nulla, ho perso 28 chili in due mesi. Solo a questo punto mi hanno riconosciuta “cieca civile”, dandomi l’invalidità - che consiste in circa 200€ al mese di sussidio - per la quale però ho dovuto combattere. È chiaro che i poteri che ho toccato mi hanno reso la vita complicata a 360 gradi. Ma io ero consapevole di quello a cui andavo incontro, sapevo di perdere, ma l’ho fatto lo stesso e l’ha detto anche il PM nella sua requisitoria. Tutti mi avevano detto di non farlo, compreso il mio avvocato. Ma io gli ho risposto: forse lei non ha capito, io sono disposta a morire per questo, quindi andiamo avanti e basta. Adesso sembra tutto facile perché siamo alla fine, ma quando ho iniziato sembrava una follia.
In questo periodo, fermo in Parlamento, è in discussione un DDL per la protezione dei whistleblowers, che cosa pensa di questa proposta?
Sinceramente, non mi piace. Non è abbastanza. In primo luogo, con l’eliminazione dell’articolo 18 è stata tolta una tutela per i lavoratori in casi di licenziamento e quindi già questo ha creato delle premesse pericolose, soprattutto per chi lavora nel privato. Poi, in questa legge è prevista l’istituzione di un ufficio interno agli enti pubblici per le denunce, ma questo è pericolosissimo. Nel mio caso, avrei dovuto denunciare al consiglio regionale che loro stavano rubando soldi pubblici. È una follia! Soprattutto perché è previsto un lasso di tempo per indagini interne in cui l’accusa può ritorcersi contro il denunciante che può essere a sua volta denunciato per diffamazione o calunnia. Insomma, hanno creato tutte le condizioni per renderla inefficace: tolto l’articolo 18 e tolto il premio per i dipendenti pubblici. Sappiamo che il denaro è un motore importante per le azioni umane, allora io dico che in tutti i casi di denunce reali, concrete, che fanno risparmiare soldi allo Stato e scoperchiano malcostume e reati, deve esserci un premio proporzionale in denaro per chi denuncia. Ovviamente a tutto questo si aggiunge il problema gigante della prescrizione, che dovrebbe essere sospesa in questi casi, in modo da assicurare delle pene certe e anche il carcere quando previsto.
A proposito di pene, settimana scorsa è arrivata la prima condanna per 13 consiglieri, ma l’assoluzione per mobbing nei suoi confronti, anche se i giudici in primis avevano considerato le due vicende come collegate. Cosa pensa della sentenza?
Dobbiamo aspettare le motivazioni per capire in base a quale cavillo giuridico hanno riconosciuto loro colpevoli ma non hanno riconosciuto i reati connessi al mobbing. Il mio avvocato era più distrutto di me. Ovviamente noi faremo ricorso, anche se comincio ad essere molto stanca. Però loro hanno dato un messaggio che può essere interpretabile in due modi. Il primo, quello che hanno pensato tutti, è che se denunci sei morto, ma io non la penso così. Assolvendolo hanno dato ragione a me, perché hanno talmente paura che possa esserci un’altra Ornella Piredda da decidere di fare una cosa così grave pur di non avere un’altra come me. Quindi io mi sento vincitrice. Evidentemente tu, potere, hai paura. Non bisogna pensare che questi possano schiacciare i cittadini. Io non sono una persona eccezionale, ho solo fatto il mio dovere, perché non potevo fare diversamente, perché la mia coscienza mi diceva di fare così. Ognuno nella vita cerca un senso, e per me il senso sono i miei valori, trasmessi da mio nonno - il mio faro - la concezione dell’umanità come famiglia, il senso della collettività e del bene comune. E non sono l’unica che la pensa così e si trova in questa condizione difficile. Ci sono tante persone in Italia nella mia stessa condizione, perché ci sono i corrotti e la corruzione è dilagante, ma una cosa è certa: hanno paura, hanno paura di persone come me.
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