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25 ottobre 2016

Whistleblowing, 3 storie vere per sollecitare l'approvazione della legge in loro difesa

Foto dell’autore Comunicato Stampa

Lettura 8 min • Inizia la discussione
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A distanza di tre settimane dalla conferenza stampa di presentazione della campagna #Vocidigiustizia per l’adozione in Italia di una legge a favore dei Whistleblower promossa da Riparte il futuro e Transparency International Italia ecco giungere la fase due per sensibilizzare i cittadini italiani sull’importanza di un provvedimento che è già legge nei paesi più avanzati (fra tutti gli Stati Uniti d’America). 

Dopo il primo video con protagonista Andrea Franzoso – Whistleblower dello scandalo Ferrovie Nord – ecco giungere il secondo: un’emozionante raccolta di tre esperienze.

Le storie rappresentate nel video racconto non sono inventate. Sono ispirate alla vita di persone reali, che non hanno avuto paura di andare contro tutto e tutti in nome di ciò che ritenevano giusto fare. Hanno alzato la testa e agito, rifiutando di essere solo spettatori di un’ingiustizia.

 

Ecco le loro storie: 

Smail Velagić: un imprenditore che si piega ma non si spezza

Questa è una storia di corruzione e ritorsione da parte dello Stato bosniaco verso un imprenditore e i suoi lavoratori che non si sono piegati all’arroganza del potere.
Smail Velagić è il direttore di un’azienda mineraria nel nord-est della Bosnia. La Tuzla Kvarc impiega 50 persone e da 30 anni è attiva nell’estrazione di quarzi e pietre. L’assistente del Ministro dell’Industria bosniaco esige una tangente per concedere alla Tuzla Kvarc una licenza di estrazione. Smail non si arrende: lo denuncia, contribuisce alle indagini e lo fa arrestare il 7 maggio 2015. Da allora la sua azienda diventa il bersaglio di una lunga serie di ritorsioni: il Fisco gli fa le pulci in continuazione, la polizia gli sta sempre alle calcagna, gli uffici dell’azienda vengono saccheggiati, distrutti, incendiati da “persone non identificate”.Soprattutto, la procura gli impedisce di continuare le operazioni perché dice che la Tuzla Kvarc non ha la licenza ufficiale per estrarre, e lo accusa di rubare: dimenticando che il motivo per cui non vi era la licenza, era che Smail non aveva accettato di pagare una tangente per ottenerla. Le ritorsioni nei confronti della Tuzla Kvarc, perpetrate a colpi di abuso della burocrazia ed arrogante gestione del potere, mettono in ginocchio l’azienda, che chiude temporaneamente. A questo punto, sono i lavoratori a ribellarsi: iniziano uno sciopero della fame che dura 18 giorni, lanciano una campagna che raccoglie quasi 13.000 firme e chiede alle istituzioni bosniache di ritirare ogni provvedimento nei confronti della Tuzla Kvarc. Dopo un feroce testa a testa, finalmente le autorità si piegano, e la fabbrica riapre.

 

Jean Haydr: quel che succede in ospedale non deve rimanere in ospedale

Jean è un’infermiera all’ospedale di Tameside, in Inghilterra. Ha visto cose inaccettabili nella gestione dell’ospedale e nella cura dei pazienti da parte dei suoi colleghi: reparti deserti, pazienti lasciati senza medicine, neonati abbandonati in evidente stato di disidratazione e mancanza di cure e assistenza.

Dopo 12 anni di servizio in questo ospedale, non può tacere e riporta internamente ciò che ha visto. I colleghi non la prendono bene: invidiosi della sua anzianità di servizio, e furiosi per le rivelazioni che ha fatto, a loro volta la accusano di alcolismo e bullismo nei confronti dei pazienti. L’ospedale la licenzia immediatamente, senza indagare la veridicità delle sue affermazioni, che avrebbero potuto gettare nel fango la reputazione dell’ospedale per le sue pratiche di evidente malasanità.

Jean non si arrende ed impugna il licenziamento, sostenendo che l’ospedale l’ha licenziata in tronco per la sua denuncia di malagestione. Riesce a dimostrare che tutte le accuse nei suoi confronti erano infondate, ma purtroppo non convince i giudici che il licenziamento era una diretta conseguenza della sua denuncia, e cioè una ritorsione bella e buona.

 

Nicole Marie Meyer: il dovere di stato contro lo Stato

Nel 1990, Nicole è una funzionaria del Ministero dell’interno francese. Si accorge di gravi irregolarità contabili e finanziarie nella reportistica del Ministero: mancanza di contratti di lavoro, mancanza di rendicontazione fiscale, salari non dichiarati, non tracciabilità dei fondi pubblici erogati. Produce un report basato esclusivamente su fatti e prove documentali, indicando anche le disfunzioni del sistema che avevano permesso quelle irregolarità. Per tutta risposta, il Ministero apre un procedimento disciplinare nei suoi confronti, poi abbandonato per mancanza di prove. Nel frattempo, riceve minacce di morte dagli autori degli illeciti, e viene demansionata.

Nel 2004, Marie produce un altro report segnalando irregolarità ancora più gravi, fra cui l’abuso di fondi pubblici. Il report viene rispedito alla mittente e le viene chiesto di aggiustarlo. Marie non ci sta: senza modifica, lo manda all’Ispettore Generale. È la fine della sua carriera da funzionaria pubblica: il suo contratto di lavoro non viene rinnovato. Dopo 15 anni di onorato servizio, Marie perde il lavoro senza alcun indennizzo o spiegazione.

Passano 5 anni senza che nessuno la voglia assumere. 5 anni senza stipendio, la carriera bloccata. All’epoca non vi erano leggi in Francia che potessero tutelarla contro la perdita del lavoro e le discriminazioni subite. Il suo sbaglio? Avere mantenuto l’integrità, aver svolto il proprio lavoro per bene, segnalando irregolarità nella gestione di fondi pubblici, denunciando la truffa a danno dei contribuenti francesi. Marie, però, nei 5 anni passati senza lavorare non si è data per vinta. Si è unita a Transparency International France ed è diventata un’attivista per la protezione dei whistleblower. Grazie a Marie e ai suoi colleghi, nel 2013 la Francia ha approvato una legge che contiene un primario livello protezione dei whistleblowers contro le discriminazioni e i licenziamenti che subiscono sul luogo del lavoro.

«Anche con questa seconda video iniziativa raccontiamo storie realmente accadute - sottolinea Priscilla Robledo di Riparte il futuro. «Tre casi diversi l’uno dall’altro ma ognuno di essi pone al centro la sopraffazione del potere, la considerazione di essere al di sopra delle leggi. I protagonisti sono uomini e donne come noi che hanno avuto il coraggio di denunciare abusi e furti. Hanno pagato perché mancava una legge a loro protezione. Anche in Italia abbiamo periodicamente casi che si ripetono. Vogliamo che si arrivi finalmente all’approvazione di una normativa che protegga queste figure, che li tuteli. Uno Stato di diritto è quello in cui chi ha voce e coraggio di denunciare truffe e corruzioni non subisce ritorsioni. Al momento in Italia non è così. Ci auguriamo che si superi questo letargo pre-referendario che sta bloccando tutte le attività parlamentari e che questa legge venga presto approvata, perché della protezione dei whistleblower c’è bisogno da tempo nel nostro Paese, indipendentemente dalla riforma costituzionale», conclude Robledo.

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